La giornata nazionale di oggi del Calendario del Cibo italiano promosso da Aifb e di cui è ambasciatrice Candida De Amicis è dedicata ai grani antichi. L’Italia ne conosce tantissimi, ma noi vorremmo concentrarci su due dei migliori grani abruzzesi: il Senatore Cappelli e il Solina dell’Appennino abruzzese.
Il grano duro Senatore Cappelli è una specie ottenuta tramite incroci dal genetista Nazareno Strampelli nel 1915 e dedicata al marchese abruzzese Raffaele Cappelli, all’epoca senatore del Regno d’Italia e presidente della Società geografica italiana.
Base del miglioramento genetico dei frumenti italiani durante il regime fascista, fu coltivato fino all’inizio degli anni ’60, quando fu gradualmente sostituito da grani di minore qualità molitoria e pastificatoria, ma di maggiore resa. Dopo un lungo abbandono, è stato riscoperto recentemente ed è coltivato principalmente attraverso metodi biologici, che ne preservano l’inconfondibile aroma persistente ed il leggero sentore di zafferano.
La semola che se ne ricava è quindi perfetta per la produzione di pasta e dolci. Mia nonna la usava per i ravioli e le tagliatelle e la ricorda come fondamentale nelle tipiche scrippelle ‘mbusse.
Il grano Solina del nostro Appennino, invece, ha una storia speciale, che gli è valso il riconoscimento di unica farina italiana a presidio Slow Food. Sovente è definita “ancestrale”, per via della sua presenza certificata almeno dal 1500, come si desume da alcune fonti storiche, compresi alcuni atti di compravendita stipulati in quell’anno presso la Fiera di Lanciano. Da qui i detti popolari “ogni grano torna a Solina” e “la Solina è la mamma di tutti i grani”.
Ma la sua ricchezza deriva soprattutto dalla limitatissima zona di produzione, tuttora limitata a poche zone montane dell’aquilano, a quote variabili tra i 500 ed il 1400 metri sopra il livello del mare. Nonchè dalle particolari caratteristiche organolettiche, capaci di conferire a pasta e pane un sapore antico, piacevolmente amarognolo ed una fragranza senza eguali, tanto apprezzata nella cultura popolare da far dire che “quella di Solina aggiusta ogni farina”.
Essendo la Solina una varietà di frumento tenero e poco tenace, ben si addice alle lavorazioni manuali, alla produzione di pane, di pasta e dei dolci tradizionali. Mia nonna la usava prevalentemente per le tagliatelle e la chitarra, vista anche la sua naturale porosità.
Abbiamo preso due grani abruzzesi dai profumi straordinari. Come valorizzarli? In chiave abruzzese naturalmente. Con le neole in versione croccante, come piacciono a noi.
Le neole?, chiedete. Cosa sono le neole? Si chiamano neole, ferratelle, nevole o pizzelle, a seconda dell’angolo di Abruzzo in cui le assaggiate, ma si trovano soltanto qui, come qui solo si trova il ferro necessario a cuocerle, un tempo offerto in dote alle spose ed ornato al centro con le sue iniziali.
Le neole, come avrete capito, sono insomma un dolce tipico, creato con una pasta da biscotto cotta su una doppia piastra arroventata sui fornelli, che conferisce loro la classica forma a “cancello”.
Ho trovato la ricetta in un vecchio quaderno. La grafia, precisa, ordinata, è di mia madre. Nelle pagine del diario riporta la storia culinaria della sua famiglia, di sua mamma a sua nonna. La ricetta, che non si vede in foto, non ha dosi, ma solo ingredienti e suggerimenti sull’impasto. La seguente, riportata nel quadernino quasi a completamento, si è rivelata invece valida per le neole morbide, ma inadatta a quelle croccanti.
Non nascondiamo, quindi, di aver dovuto fare un paio di prove prima di riuscire a trovare il giusto grado di croccantezza, di friabilità. Ma gli sforzi sono stati adeguatamente ripagati.
Ingredienti (per circa 30 neole)
– per le neole di semola Senatore Cappelli:
Uova cat. A grandi, 2 uova
Farina di grano duro Senatore Cappelli, 100 g
Zucchero, 4 cucchiai
Olio evo, 4 cucchiai
Limone, le zeste di 1/2
Semi di anice, a piacere (noi, la punta di un cucchiaio)
– per le neole al grano Solina dell’Appennino abruzzese :
Uova cat. A grandi, 2 uova
Farina di grano tenero Solina tipo 2, 100 g
Zucchero, 4 cucchiai
Olio evo, 4 cucchiai
Limone, le zeste dell’altra metà
Semi di anice, a piacere (noi, la punta di un cucchiaio)
Procedimento
Preparate i due impasti separatamente secondo il medesimo procedimento.
Rompete le uova, aggiungete lo zucchero, l’olio e i semi di anice. Mescolate bene e, gradualmente, incorporate la farina.
Impastate il tutto fino ad ottenere un impasto elastico e piuttosto morbido.
Scaldate il ferro sul fornello più piccolo per 5′.
Quando è caldo, aiutandovi con un pezzettino di carta da cucina o, se lo avete, un pennellino, ungetelo leggermente, in modo da evitare che l’impasto si attacchi.
Con l’aiuto di due cucchiai, versate una piccola dose di impasto nel ferro. Chiudete e stringete. Cuocete per circa 20 secondi per lato. Se quando aprite il ferro sentite un leggero “scoppietto”, vuol dire che la neola è cotta. Ripetete il procedimento fino alla fine dell’impasto.
Le neole devono essere dorate. Piano piano prenderete la mano e vi accorgerete da soli di quando saranno cotte. Appena cotte sono ancora morbide, per cui, volendo, potete modellarle (ad es., potete farci un cono). Diventeranno croccanti appena si raffredderanno.
Si gustano da sole, ma sono buonissime anche con la marmellata!
Eccoleeee!!!
Eccole! 🙂
Penso che le farò subitissimo!!
Cucù 🙂 <3 <3
Settete! 😉
🙂
Questo articolo mi emoziona particolarmente: sono cresciuta con le NEOLE. Mia madre le faceva spessissimo e anche lei ha dosi – infine – di cucchiai e metteva sempre i semi di anice. Naturalmente io non posso non avere il ferro. Rettangolari per mia madre (proprio come le vostre!) e a ventaglio il mio (come quella della zia di mio padre). Grazie della ricerca e valorizzazione.
Siamo contenti di averti coinvolto emotivamente con il nostro articolo 🙂
Ci fa molt piacere sapere di essere riusciti a risvegliare in te dei bei ricordi.
Se vorrai regalarci sul tuo sito la tua ricetta saremo noi a ringraziarti. Un saluto affettuoso dal tuo caro Abruzzo 🙂
Operazioni in corso…!
Siete proprio bravi 🙂
Sei proprio generosa 🙂
Chi lo dice 😀 Dietro a queste “ricette” c’è una grande ricerca e quindi grande passione e grande voglia di tradizione <3
Questo è vero. La tradizioni, ma direi le tradizioni di ognuno di noi, sono alla base della nostra comune passione. Cucinare vuol dire anche semplicemente tornare indietro nel tempo: a quei prodotti che un tempo si facevano in casa e che oggi si acquistano al più in forno o al supermercato. Con una differenza di sapore (e anche di costo, perchè no?) non indifferente.
E’ vero ma non tutti i blog “raccontano” questo e distinguersi per la qualità e non per la quantità fa la differenza. (non calcolate me che ho 5 anni di blog da ripostare e qui la quantità la fa da pardona 😀 )
Beh, nel tuo caso l’aspetto che colpisce – non vuole essere una “allisciata”, siamo sinceri – oltre alla tecnica e alla fantasia, è la ricerca degli ingredienti. A leggere le ricette si capisce benissimo di che zona sei e quanto riesci a valorizzare, ispirandoti o commistionando, dalle tue tradizioni. A parte il levistico ( 😉 ), è dalle erbe, i fiori, gli aromi della montagna (montagna o collina?) che si capisce lo stretto rapporto che c’è tra il blog e la persona. In fondo, il blog è come dovrebbe essere: un mezzo di espressione creativa. Noi la vediamo così.
Beh, nel tuo caso l’aspetto che colpisce – non vuole essere una “allisciata”, siamo sinceri – oltre alla tecnica e alla fantasia, è la ricerca degli ingredienti. A leggere le ricette si capisce benissimo di che zona sei e quanto riesci a valorizzare, ispirandoti o commistionando, dalle tue tradizioni. A parte il levistico ( 😉 ), è dalle erbe, i fiori, gli aromi della montagna (montagna o collina?) che si capisce lo stretto rapporto che c’è tra il blog e la persona. In fondo, il blog è come dovrebbe essere: un mezzo di espressione creativa. Noi la vediamo così.
Beh, che dire: oggi è la giornata delle emozioni 🙂 Mi permetto di lasciarvi un link: https://milesweetdiary.wordpress.com/2016/06/10/un-po-di-friuli-con-gli-occhi-di-unabruzzese-che-vive-in-lombardia/
Ma davvero hai un porcospino?!?!? :))
Che bello!!
Avremmo dovuto conoscerti l’anno scorso! Abbiamo girovagato con la macchina per il Friuli sfruttando la coincidenza del matrimonio di un amico ad Udine. Quanto abbiamo visto. Ma a giudicare dall’articolo, quanto ci siamo persi!
Mannaggia, ma non avete u altro amicoche si sposa a Udine? magari un suo amico 😀 Si, il mio adorato Poldo <3
Che bello, Poldo! Da quanti anni lo hai?
Al prossimo amico te lo diremo 😉
Ciao, Poldo ce l’ho da ottobre scorso, non so se è Poldo o Polda, immaginerete che non è facile “relazionarsi” con i porcospini 😀 Buon fine settimana <3
Poldo è più carino di Polda però 😉
Buon weekend anche a te
Ciao, da oggi sono “Fior di Sambuco”, mi si addice di più dell’altro nick 😀
Non l’avevamo notato!!! Ti si addice molto di più!
Un saluto da R e S, ora nella stessa città
Che meraviglia, sono felicissima e curiosa di vedere cosa uscirà dalla vostra cucina, un abbraccio <3 <3