Un brano di musica sinfonica non si forma per il lavoro di un singolo musicista o in un settore particolare dell’orchestra, ma nasce dall’attività simultanea e più o meno articolata di parecchi, spesso molti, strumenti che la compongono o da tutta l’orchestra nel suo insieme. In modo molto simile accade nella cucina, ove una ricetta non proviene dall’abbinamento di un paio di ingredienti, ma dall’interazione di un insieme di materie prime, sapientemente lavorate.
In entrambi i casi, il raggiungimento del risultato finale dell’esecuzione è debitore di un direttore che dirige il tutto, sebbene talvolta sia la sinfonia a creare il direttore, e non viceversa. La riproposizione di ricette tradizionali, composte e sperimentate come opere di antica memoria, rientra proprio in quest’ultimo caso, giacché richiede il rispetto di una serie di regole, stabilite nel corso del tempo, deputate a conferire ai piatti, per l’appunto, il loro sapore tradizionale, la ragione del loro essere.
Vero è, però, che, come ognuno che cucina sa, a mano a mano che l’esecuzione si sviluppa, il sé di ogni cuoco rientri comunque in scena. L’occhio che stabilisce la giusta misura dell’olio, il numero di foglie di basilico in base al profumo o d’aglio in base al gusto: la capacità di trasformare il q.b., da un lato, in quanto piace e, dall’altro, in quanto serve.
Per noi, essendo lontani dalla Sicilia, alcune correzioni alla ricetta originale si sono rivelate necessitate: ai busiati – classicamente abbinati al pesto – abbiamo sostituto i fusilli; all’aglio rosso di Nubia, quello rosso di Sulmona; al pecorino siciliano, quello abruzzese.
Insomma, un classico, in chiave nostrana. Ma, senza offesa per gli amici di Trapani, a noi è piaciuto anche così.
Ingredienti (per 2)
Fusilli bucati, 180 g
Mandorle pelate, 3 cucchiani
Pistacchi sgusciati, un cucchiaino e mezzo
Pomodorini ciliegino di Pachino, 4
Basilico genovese, 5 foglie
Pecorino, una grattugiata (la ricetta originale vorrebbe l’uso del pecorino siciliano, ma qui in Abruzzo facciamo bella figura anche col nostro 😉 )
Ricotta salata, due grattugiate (una per piatto)
Aglio rosso, 1 spicchio piccolino (la ricetta originale vorrebbe quello di Nubia, ma noi abbiamo usato quello di Sulmona)
Olio evo, q. b.
Sale grosso, un pizzico
Procedimento
Dato il breve tempo necessario, potete preparare il pesto anche dopo aver messo a bollire la pasta in abbondante H20 salata.
In un mortaio – o, in alternativa, un frullatore, anche ad immersione, che però aumenta il rischio di ossidazione – schiacciate l’aglio scamiciato e privato dell’anima, il basilico, il sale grosso. Dopo aggiungete le mandorle, i pistacchi e i pomodorini. La ricetta tradizionale prevede che, questi ultimi, siano privati della buccia, sbollentandoli in H20. Ma a noi la buccia, peraltro appena percettibile, non dispiace e l’abbiamo tenuta.
Continuate a pestare aggiungendo l’olio a filo, fino ad ottenere una crema omogenea e, alla fine, unite il pecorino.
Scolate la pasta, mantecate con il pesto e impiattate, decorando con qualche fogliolina di basilico e una grattugiata di ricotta salata.
Ci si arrangia con quello che si ha a disposizione, l’importante alla fine che piaccia, però nel pesto alla trapanese non vanno i pistacchi, noi mettiamo solo mandorle.
Non essendo per noi sapori tradizionali, abbiamo voluto sperimentare, e il risultato ci è piaciuto!
E’ però importante sapere le basi, quindi grazie per il consiglio 🙂
Hai fatto benissimo, pure a me piace sperimentare, la mia non voleva essere una critica, solo un’informazione visto che è un piatto proprio della mia zona.
Sì, l’avevamo capito! 🙂